B.
HAYWOOD 6: Gioca in pratica solo 2 partite, più un’apparizione in Gara 4
per soli 3 minuti, a causa di un
infortunio all’anca. Non sfigura nei 2 matches ai quali prende parte,
soprattutto in Gara 1. Incontenibile durante i festeggiamenti dopo la vittoria.
I.
NAHINMI 5,5: Non era previsto che giocasse, ma gli eventi negativi occorsi ad
Haywood hanno costretto Carlisle a buttarlo nella mischia. Ci mette impegno, ma
i risultati sono più che scontati, anche se ha comunque il merito di realizzare
un canestro assurdo (per lui) nel match finale, allo scadere della sirena della
terza frazione, facendo gasare tutti i compagni di squadra. Permette di far
tirare il fiato a Chandler che dopo l’uscita di scena di Haywood è costretto a
fare un lavoro doppio.
P.
STOJAKOVIC 5: Lo so! Se il voto
dovessi darlo solo alle sue prestazioni alle finals ne verrebbe fuori un bel 3
pieno, ma proprio non ce la faccio a punire un fuoriclasse di tale levatura,
che ha avuto anni gloriosi in NBA, con un voto del genere. Il voto pertanto, è
una sorta di media tra le buone gare giocate nei turni precedenti sia contro
Portland, sia contro i Lakers (anche se il suo rendimento cala ed in modo
abbastanza vistoso, già nella Finale di Conference contro Oklahoma) e il suo
totale disastro nella finalissima contro Miami, dove in 3 sole apparizioni (da
Gara 4 in
poi infatti, Carlisle non gli permette più di mettere di nuovo piede sul
parquet) è capace di mettere a segno un solo canestro nella 3° partita. Suo
apice nei Play Off, lo straordinario 6/6 dalla linea dei 7,25 in Gara 4 contro i
Lakers, con il quale contribuisce in modo sostanziale a quel fantastico 20/32
dalla linea dei 3 punti di tutta la squadra dei Mavs, che uguaglia il record
assoluto dei Seattle Supersonics del 1996.
D. STEVENSON 6,5: E
chi se lo aspettava! Parte in quintetto nelle prime 3 sfide. Da Gara 4 in poi si siede in panca di
fianco al suo compagno di reparto Terry, per far spazio a Barea. Assolutamente
concentrato su ogni azione, quando sbaglia un canestro (molto di rado a dir la
verità) lo vedi subito dall’altra parte del campo a difendere come un forsennato. Ottime
percentuali al tiro (quasi esclusivamente dal perimetro), risponde sempre
presente quando i compagni lo chiamano in causa. Autore di canestri importanti
anche in momenti chiave, soprattutto in Gara 4 e Gara 6. Ingaggia il solito
duello fisico e verbale con il sempre odiato James, (quando militava nei
Wizards, definì il Prescelto un “overrated” cioè un giocatore sopravvalutato)
riuscendo a prevalere più volte. Bellissima la maglietta che ha sfoggiato
all’arrivo all’aeroporto di Dallas dopo il trionfo:”Hey LeBron, How is my Dirk
taste?”.
B. CARDINAL 7: Voto
alto per la mazzolata data a Wade in Gara 5. Nella gara precedente, “Flash”
aveva messo in scena insieme al compare, il “simpatico” siparietto sulla febbre
del biondo e aveva dichiarato, a proposito della lesione al legamento del dito
medio della mano sinistra del tedesco (lesione con la quale ha convissuto per
tutta la serie), che tutti i giocatori vivono con qualche dolorino. Bene! Detto
fatto. “Il custode” non si lascia scappare l’occasione e commette un duro fallo
proprio su Wade quando mancavano 5 minuti alla fine del 2° quarto. Il numero 3
esce dal campo e ritorna solo nel 3° periodo. La domanda è lecita:”Wade è bello
giocare con qualche dolorino?”. Usato, per far rifiatare Chandler e Nowitzki,
si fa notare per altri falli abbastanza ruvidi commessi in Gara 6. Partecipa
attivamente anche dalla panchina incitando i compagni come se fosse in campo
con loro! Questo significa “fare squadra”.
J. J.
BAREA 7,5: L’uomo che aveva spaccato in 2 la difesa dei Lakers, provocando
l’ira funesta di Bynum, che per la frustrazione l’ha messo KO con un fallo
bruttissimo punito prima dagli arbitri con un Flagrant Foul e poi dalla NBA con
3 giornate di sospensione, l’uomo che ha avuto un peso notevole sia nel
passaggio del primo turno contro Portland, sia nella vittoriosa serie contro i
Thunder, sembrava spegnersi proprio sul più bello: nelle prime 3 partite si
vede poco e niente. Da Gara 4
in poi, coach Carlisle gli “regala” l’ingresso nel
quintetto base e da lì riprende quota. Protagonista assoluto delle ultime 2
sfide, sembra indemoniato: con le sue accelerazioni e con le sue penetrazioni
fulminee, mette in crisi profonda la difesa dei Miami che non sa proprio come
prenderlo e risulta fastidioso per gli
avversari anche in difesa (vedesi a tal proposito i falli in attacco fischiati
sia a James che a Wade). Sfugge sia alla marcatura a uomo, sia a quella a zona.
Anzi, con quest’ultima sembra andare a nozze una volta ritrovata anche la via
del canestro dalla distanza. Considerata da più parti la chiave principale del
successo dei texani, a molti è sembrata la vera sorpresa dei Play Off, ma per chi
lo segue da anni è stata solo una piacevole conferma del fatto che il ragazzo
di Portorico ci sa davvero fare, come ha detto anche il presidente Obama nella
telefonata per congratularsi un paio di giorni dopo il trionfo, con coach Carlisle.
T.
CHANDLER 7,5: L’uomo che ha cambiato il volto dei Mavs! Vero leader indiscusso
della difesa texana, guida i compagni con saggezza e maestria, soprattutto nei minuti
finali dove Dallas serra le fila e il livello di allarme passa da DEFCON 1 a DEFCON 7. “Not in my
house!!”, è il grido di guerra del grande Tyson quando le partite volgono al
termine. Bosh gli crea più di un semplice grattacapo, ma lui non si scompone.
Disputa una favolosa 5° partita dove realizza 13 punti e cattura addirittura 16
rimbalzi. Fantastica inoltre la calma con la quale ha gestito queste 6 partite:
da sempre afflitto da problemi con i falli (oltre che fisici), viene
addirittura lasciato solo dal compagno di squadra Haywood a partire da Gara 2, a causa di un infortunio.
Svolge dunque un lavoro immane giocando più del dovuto, ma stringe i denti e
alla fine risulta decisivo e determinante per la vittoria finale. Ottiene la
sua rivincita personale contro chi a soli 28 anni lo dava per finito, rotto e
non in grado di fare la differenza come faceva
quando era a New Orleans, quando con Chris Paul alla regia, dava spettacolo
soprattutto in azioni di alley oop, azioni che ha ripetuto quest’anno con Kidd.
J.
KIDD 7,5: Il giocatore più geniale dal punto di vista
della visione di gioco degli ultimi 15 anni, riesce finalmente a raggiungere
l’obiettivo della sua vita sportiva. A 38 anni non gli si può chiedere una
continuità di rendimento elevata, ma Giasone soffre, corre, lotta e inventa
come se fosse un ragazzo di 18 anni. Si sfianca e suda alla grande in difesa su
Wade e Chalmers e sprona i suoi compagni ad ogni azione. Perde qualche palla di
troppo nelle prime 3 gare e raggiunge il punto più basso dal punto di vista
delle sue prestazioni in queste finals alla 4° partita, dove non realizza
nessun punto e mette a referto solo 3 assist. Da lì in poi, è un capolavoro in
tutto quello che fa! Distribuisce palloni e inventa quelle giocate che lo hanno
reso famoso lasciando di stucco i suoi avversari. Difende, attacca, lotta a
rimbalzo e non perde più un pallone. Decisivo in Gara 5, e soprattutto in Gara
6 quando Miami cercava di rifarsi sotto, con un paio di giocate da fenomeno
qual è: da incorniciare un canestro ignorante da quasi 8 metri , con gli Heat che
erano ritornati da -9 a
-4, che stronca sul nascere gli entusiasmi degli uomini di Spoelstra. Esempio
da seguire per tutti i giovani che si avvicinano a questo sport, nel corso
degli anni è riuscito a migliorarsi in uno dei pochi aspetti del suo gioco che
non era proprio il massimo: il tiro da 3. Sono ormai 2-3 anni infatti, che Kidd
è diventato un tiratore da 3 eccelso anche in momenti cruciali di partite
importanti. Un prossimo Hall of Famer, anche se si spera il più tardi
possibile.
S.
MARION 7,5: Inizia in modo imperioso! Percentuali al tiro da lasciare ad occhi
aperti e intensità in campo ai limiti dell’incredibile. Ad un certo punto,
causa più problemi lui che Dirk. Capovolge gli scenari che tutti avevano
pronosticato prima dell’avvio della finalissima. Non è James a metterlo in difficoltà,
ma è lui che invece fa quello che vuole. A rimbalzo è una furia, soprattutto in
attacco Nella seconda partita tiene da solo a galla i texani, che se si trovano
sotto di “soli” 15 punti a poco più di 7 minuti dalla fine, lo devono quasi
esclusivamente al suo grande lavoro in entrambi i lati del campo. Da lì in poi
ci penserà la combo Wunderdirk-Jet a ribaltare miracolosamente il risultato che
sembrava ormai acquisito per le fiamme delle Florida. Si concede una pausa in
Gara 3, ma torna prepotentemente alla ribalta nel 4° match, dove con i suoi 16
punti finali contribuisce in modo sostanziale alla vittoria finale dei Mavs. Il
suo rendimento cala dalla 5° partita in poi, anche perché altri giocatori che
fino a quel punto avevano deluso (Barea su tutti) si svegliano ed entrano in
rotazione, causando una riduzione dei minuti sul parquet di “The Matrix”.
Grande seconda parte di carriera dunque per Shawn, che fa ricredere molti dei
suoi detrattori, i quali non lo ritenevano in grado di fare squadra ed erano convinti
che fosse capace soltanto di giocare un basket fine a se stesso e alle giocate
spettacolari, cosa in cui Marion, da sempre, non deve prendere lezioni da
nessuno.
J.
TERRY 8: Prima dell’inizio del campionato ormai
archiviato, lo scorso Ottobre, si era tatuato sul bicipite del braccio destro
il Larry O’Brien Trophy, il trofeo dei campioni NBA: qualcuno lo aveva preso
per matto, altri conoscendo il suo carattere iper giocoso ci avevano scherzato
su, pensando ad uno dei soliti scherzi di questo grande personaggio, fatto sta
che alla fine il “matto” ha avuto ragione. Lui ci credeva e non ha mollato, e
alla fine è stato ripagato dalla gioia più grande. Da sempre ago della bilancia
della squadra, se lui gioca bene difficilmente i texani soccombono e questa
regola si è confermata anche in questi straordinari per lui, Play Off. Inizia
abbastanza bene nel primo turno contro i Blazers, ma era solo il preludio a
quello che sarebbe accaduto da lì a poco, al turno successivo contro i
lacustri. Terry infatti, era una bomba pronta ad esplodere e il tuono
assordante della deflagrazione avvenuta contro i Lakers, difficilmente sarà
dimenticato in California. Gioca una serie stellare, raggiungendo l’apice in
Gara 4 dove mette a segno 9 bombe su 10 tentativi (record assoluto in Post-Season,
detenuto in coabitazione con Rex Chapman, Vince Carter e Ray Allen). Gioca ad
alti livelli anche la serie con i Thunder. Si arriva così alla finalissima.
Alla vigilia della prima partita dichiarò:”Voglio proprio vedere se LeBron
James sarà in grado di marcarmi!”. Parte in sordina e nelle prime 3 gare non
incide molto, a parte in Gara 2 dove tira fuori dal cilindro due canestri
consecutivi per riportare i Mavs in linea di galleggiamento dopo che erano sprofondati
a -15, e contribuisce nel finale al clamoroso ribaltamento che porterà i texani
a vincere il 2° match. Dalla 4° in poi è spettacolo puro di Jumper e Clutch
Shot. James è letteralmente annichilito, non sa più cosa fare! Gli spara in
faccia di tutto e addirittura in Gara 5 con la partita in bilico e con la mano
del Prescelto attaccata al suo viso, tira fuori una bomba da 8 metri per chiudere il
punteggio. Nel match cruciale in pratica da solo, tiene il punteggio in parità,
visto le enormi difficoltà al tiro in questa partita del cittadino di Wurzburg.
Assolutamente l’MVP di Gara 6. Giocatore straordinario, 6° uomo dell’anno nel
2009, è rimasto nel limbo troppo tempo, ma alla fine ha fatto vedere al mondo
intero di che pasta è fatto. La pasta dei fuoriclasse. Dopo la conclusione
della partita è un vulcano in piena. Ne ha per tutti, ed in particolare dalla
sua bocca esce spesso la parola “vendetta”, riferendosi alle brutte, cattive e
viscide lingue che nel 2006 lo etichettarono come principale colpevole
dell’incredibile sconfitta dei Mavs in quella finale.
D.
NOWITZKI 9: Beh che dire! Non ci sono davvero parole per descrivere l’immensità
con la quale ha disputato questi Play Off. Leader in tutto e per tutto,
assoluto dominatore della scena, di diritto entrato nella leggenda di questo
sport accanto ai più grandi di sempre, signori ecco a voi il cestista più forte
del pianeta! Gioca fino alla finale con statistiche astronomiche: quasi 30 di
media e quasi 10 rimbalzi a partita, con una percentuale al tiro costantemente
al di sopra del 50%. Roba da paura soprattutto l’ultimo dato! I freddi numeri
buttati così, comunque, non riescono a far capire con esattezza l’impatto sul
gioco di questo straordinario atleta di 213 cm per 111 Kg . Nei suoi 13 anni di
NBA ha realizzato tantissime imprese che saranno tramandate ai posteri, ma
questi Play Off hanno il gusto di qualcosa di epico: spadroneggia sul parquet
sia contro i Blazers che contro i Lakers, e in Finale di Conference contro
Oklahoma, Dirk non è più un fenomeno del basket, è letteralmente un alieno
sceso sulla terra! In Gara 1 ne fa 48 (24/24 al tiro libero che è anche il
nuovo record assoluto per il campionato americano), ma quella che rimarrà per
sempre stampata a caratteri cubitali nella storia della NBA è la Gara 4 di questa serie: con i
texani sotto di 15, a
5 minuti dalla fine, il tedesco inizia a giocare un altro sport lasciando tutti
a bocca aperta con una serie di canestri impossibili, portando la sua squadra
all’incredibile vittoria all’Over Time. Difficilmente si rivedrà una cosa del
genere su un campo di basket! Nella serie conclusiva contro Miami si fa male
nella 1° partita, procurandosi una lesione al tendine del dito medio della mano
sinistra che sarà immobilizzato con una speciale fasciatura per le restanti 5
partite, ma lui, da buon teutonico non demorde. Nel secondo incontro, compie
l’ennesimo capolavoro della sua carriera: con i Mavs sotto di 15, a 7 dalla fine, improvvisamente
si “accende” Terry e trascina con se i suoi compagni fino all’86-90. Un
recupero nel quale il biondo di Germania non aveva contribuito nel punteggio.
Mancano a questo punto meno di 3 minuti alla fine, e da lì in poi Dirk entra in
“the zone”, il momento cioè dove i grandissimi entrano in una dimensione tutta
loro, in un mondo parallelo che dista milioni di anni luce da quello dei comuni
mortali . Il palcoscenico è tutto suo, realizza un jumper, un lay-up, una bomba
da 3 e il canestro finale del 95-93. 9 punti tutti in un amen che stendono Wade
& Co. Alla vigilia di Gara 4 viene colpito da una forte forma influenzale
ed entra in campo con 38,5 di febbre dopo che aveva passato tutta la giornata a
letto (il ricordo va al 97’ ,
con Jordan che viene colpito da una
febbre intestinale, che lo aveva debilitato a tal punto da reggersi a malapena
in piedi, ma ciò nonostante, fu capace di realizzare 38 punti e stendere i Jazz
di Malone & Stockton in quella cruciale Gara 5 con la serie che era sul 2
pari!). E’ un supplizio: coach Carlisle
lo fa stare in campo il meno possibile, ma non può permettersi di farlo
riposare più di tanto. Il tedesco soffre a vista d’occhio, stringe i denti,
anche se ad ogni time out si accascia sulla sedia e tossisce copiosamente
mentre viene coperto da asciugamani per far calmare i brividi di freddo che
attraversavano il suo corpo. La squadra però c’è! Tutti danno una mano, ma alla
fine non possono prescindere dal loro leader massimo che infatti, risponde
ancora presente e nel 4° quarto realizza 10 dei suoi 21 punti finali con
annesso tiro della vittoria. In Gara 6 è stranamente anonimo per tutto il primo
tempo. L’emozione o qualcos’altro gli gioca un brutto scherzo, fatto sta che
con un orrendo 1/12, il cittadino di Wurzburg non riesce proprio ad entrare in
ritmo. I compagni però si fidano di lui, aspettano il loro generale che
puntualmente ritorna in auge nel secondo tempo e soprattutto, ovviamente, negli ultimi 12 minuti finali. Il resto è
storia; Nowitzki esce dal campo prima del suono della sirena e fugge negli
spogliatoi lontano dai riflettori e dai flash delle macchine fotografiche. Lui
è fatto così: una stella assoluta risplendente nel firmamento cestistico, ma un
anti-star dal punto di vista dello show-business. Ovviamente tutti i tifosi
vorrebbero vedere la propria squadra vincere, ma in questo caso non è un’eresia
dire che la vittoria dei Mavs e del tedesco in particolare, abbia reso felici
un pò tutti gli amanti del gioco, perché l’impresa del biondo con il numero 41
sulle spalle, non è solo una vittoria di un grande giocatore, ma è anche e
soprattutto la vittoria di un uomo che ha perseguito il sogno di una vita, di
un uomo di grandi valori morali che non ha mai tradito la gente che gli ha
sempre voluto bene, rimanendo per ben 13 lunghi anni sempre nella stessa
squadra e nella stessa città, cosa rarissima in questo mondo e in questa lega.
Ha vinto contro tutto e contro tutti: contro quelli che nel 2003 lo accusarono
di scarso coraggio, perché nella Finale di Conference (poi persa 4-2 contro gli
Spurs) dopo essersi distorto un ginocchio in Gara 3, saltò le rimanenti 3
partite, anche se forse avrebbe potuto giocare solo l’ultima, ma lui non se la
sentì di rischiare; contro quelli che dopo la clamorosa sconfitta del 2006 lo
accusarono di scarsa personalità e mancanza di leadership nei momenti cruciali
delle partite; e infine contro quelli (compreso il sottoscritto ahimè, che però
lo faceva a fin di bene) che ogni anno gli consigliavano di cambiare aria e
andare via da Dallas e cercare di unirsi a qualche altra stella per vincere il
tanto sospirato anello, visto che comunque anche altri super fenomeni come
Jordan, Magic, Bird o più recentemente Duncan e la coppia O’Neal-Koby si son
sempre fatti aiutare da altre grandi star come Pippen, Jabbar, McHale, Parker
etc. per raggiungere il grande obiettivo. Beh, invece Dirk ha infranto anche
questa “legge” trionfando si con una grande squadra, ma comunque priva di altre
grandi stelle, rendendo così la sua vittoria ancora più unica e speciale. Da
libro cuore infine, l’abbraccio con il suo mentore, il suo allenatore
personale, quel Holger Geschwindner che lo scoprì a 16 anni in una partita di
selezioni giovanili in un paesino freddo della baviera, l’uomo che gli ha
insegnato tutto e che per Dirk è una sorta di secondo padre.
R.
CARLISLE 9: Grazie a questa stupenda vittoria coach Rick, o meglio, la
fotocopia di Jim Carrey come amano definirlo negli States, visto la
straordinaria somiglianza con l’attore hollywoodiano, diventa l’undicesimo uomo
ad aver vinto l’anello sia come giocatore (con i Celtics di Bird), sia come
allenatore. Il “coach dell’anno 2002-03” con i Pistons, ha inciso profondamente
sulla vittoria dei suoi ragazzi, trasformando la sua squadra soprattutto dal
punto di vista difensivo (esemplare la difesa a zona dei Mavs) e disegnando
nuovi schemi in attacco per tutti i tiratori del team, in particolare Butler e
Terry, pretendendo soprattutto da quest’ultimo, costanza e concentrazione; ha
rigenerato i veterani Marion e Kidd e ha inculcato in tutti gli elementi una grande
convinzione nei propri mezzi che alla fine è risultata decisiva (vedesi a tal proposito
il rendimento di Barea). Grande idea quella di sfruttare gli scarichi di
Nowitzki (utilizzato moltissimo quest’anno da tale punto di vista, grazie anche
ad un ulteriore miglioramento di Dirk nella visione di gioco), e limitare i
suoi tiri nei primi 2 quarti cercando di coinvolgere tutti gli elementi a
disposizione. Notevoli i suoi meriti, soprattutto perché i Mavs sono stati
destabilizzati più volte da infortuni nel corso dell’anno anche piuttosto
gravi, e in punti chiave della squadra come Butler, ma ogni volta ha saputo
“rimodellare” i suoi schemi adattandoli a seconda delle circostanze. Durante i
Play Off ha saputo trovare delle alchimie tattiche da applicare partita per
partita, mettendo in crisi tutti i suoi colleghi, Phil Jackson su tutti. Il
capolavoro tattico di Carlisle a tal riguardo, lo mette in atto in Gara 4 della
finalissima, rinunciando alla guardia (Terry ) dall’inizio e giocando con Barea
e Kidd in quintetto dal primo minuto. Un azzardo direbbero in molti: invece ha
avuto ragione per l’ennesima volta.
Posted by Don
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