lunedì 9 maggio 2011

Spurs...and now?

Una Regular Season strepitosa, in minima parte macchiata dal non esaltante finale, dove gli Spurs si son fatti sopravanzare dai Bulls nella corsa al primo posto assoluto, aveva in parte illuso i sostenitori della squadra texana più titolata tra tutte. Gran parte degli addetti ai lavori e non, aveva accreditato ai bianconeri del basket oltreoceano, i favori del pronostico quanto meno per la finale di Conference. Pochi avevano intravisto le crepe nel pur solido gioco di coach Popovich, ma nessuno si sarebbe immaginato la clamorosa uscita dai Play – Off al primo turno, contro i sempre più sorprendenti Grizzlies di Randolph & Co. Eppure durante la stagione regolare San Antonio aveva dato l’impressione di una solidità di squadra degna di una pretendente al titolo. La difesa, ossia l’aspetto più importante per ogni squadra di basket, ma che con coach Gregg ha da sempre assunto l’aspetto di una disciplina militare ferrea alla quale nessuno ha potuto sottrarsi, sembrava essere tornata quella dei tempi migliori; l’attacco andava a mille. Difficilmente la squadra di Manu, ormai leader massimo della squadra, arrivava all’ultimo quarto con la partita ancora in bilico. San Antonio ha chiuso quasi sempre le sue partite con ampio margine, dimostrando una netta superiorità con le squadre medio-piccole e combattendo punto a punto con le più grandi, arrivando dunque ad una sola partita dal record dei Bulls. Ma è proprio durante gli ultimi 20 giorni prima dei Play-Off che è iniziato il lento inesorabile declino degli Spurs: qualcuno pensava che stessero rifiatando in vista dei fuochi artificiali finali, ma non era così. Memphis ha messo a nudo tutti i punti deboli della squadra del Texas schiantandola clamorosamente in 6 partite. Zac è stato maestoso, sembrava un mix tra Wilt Chambrlain e Bill Russel. Ha distrutto Timoteo, probabilmente la più grande ala forte di sempre, ma ormai con statistiche sempre di più in declino hanno dopo anno, e soprattutto in rotta di collisione con il suo allenatore già dall’anno scorso per gli scarsi palloni ricevuti e per un minutaggio sempre più ristretto. Gli altri lunghi da Blair (comunque positivo il suo anno) a McDyess a Bonner nemmeno a dirlo: come se non fossero esistiti. La mancanza di un’ala piccola degna di nota ha poi fatto il resto: Jefferson si è rivelato per l’ennesimo anno un flop clamoroso, mai decisivo, mai entrato negli schemi della squadra. Non è mai stato una stella di prima grandezza, anzi, ma in pochi avrebbero immaginato un rendimento così deficitario. Coach Gregg per una volta, si è travestito nei panni del Marotta del calcio e ha sbagliato, dopo aver avuto invece l’intuizione di scegliere Manu al numero 57 del draft 1999 e Parker al numero 28 del draft 2001. Voi direte:”E mbeh ci voleva tanto! Sono 2 stelle assolute e fuoriclasse assolutamente straordinari!”. Ma si sa che gli americani sono un pò scettici nell’accettare che qualcuno al di fuori della terra a stelle e strisce, sia bravo quanto meno come i loro migliori assi, nel gioco del tiro al cesto. In tal senso, Popovich e gli Spurs sono stati dei precursori in ambito NBA. Nel complesso, il comparto delle guardie-play che dovevano dare una mano al francesino sia come tiro dall’arco che nelle penetrazioni, hanno fatto bene. Neal (ottimo il suo anno da rookie) e Hill hanno disputato ottime partite, almeno fino a quando il gioco non si è fatto duro…
Ora San Antonio per l’anno prossimo si trova ad un bivio: la squadra ormai è avanti con l’età. Per qualcuno sembra essere scoccato il giro di boa finale, vedesi Duncan che dispiace dirlo, non è più un fattore. Manu è classe 1977, ha disputato un grande anno e sembra che ci si possa ancora affidare a lui per un altro paio di stagioni. Parker ancora può dare tanto alla squadra. Se si decide di puntare per la 15° stagione di fila sul verginiano, bisogna assolutamente affiancargli un supporting cast degno di nota: il solo Blair in tal senso non basta e Bonner comunque potrebbe essere utile nel tiro da 3. McDyess invece, dovrebbe andare da qualche altra parte o accomodarsi semplicemente sulla poltrona di casa sua. Jefferson ha approfittato anche troppo della pazienza del suo coach, dei suoi compagni e dei tifosi bianconeri. Se fossi in lui non girerei con una macchina decappottabile per le vie di San Antonio. Nella terra del vecchio West si sa che il perdono è una parola che non viene contemplata nel vocabolario. Forse potrebbe far comodo a qualche europea, ma in NBA non gli affiderei più la maglia da titolare in una squadra che punta in alto, nemmeno se mi versasse un centesimo del suo lauto stipendio (va beh non prendete per oro colato quello che dico!!)…

Posted by Don

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